
Sono undici le persone rinviate a giudizio per diffamazione nei confronti di ufficiali dell’Arma dei Carabinieri nel periodo compreso tra il 2001 e il 2006. Si tratta di due carabinieri, un avvocato e otto giornalisti. Tra questi ultimi, il direttore de «Il Fatto Quotidiano» Antonio Padellaro e l’anchorman di «Servizio Pubblico» Michele Santoro.
La decisione del rinvio a giudizio è stata presa dal gup di Roma Cinzia Parasporo, che ha fissato la prima udienza l’11 maggio 2016, davanti al giudice monocratico Michele Romano.
Nel mirino dell’accusa dichiarazioni e servizi giornalistici in cui si è ipotizzato l’esistenza di una “trattativa” finalizzata ad ostacolare la cattura di alcuni boss, tra cui Bernardo Provenzano e di Matteo Messina Denaro.
A giudizio anche il capo scorta del pm Nino Di Matteo, il maresciallo Saverio Masi, il suo ex collega sottufficiale Salvatore Fiducia e il loro avvocato Giorgio Carta che a maggio 2013 avevano accusato gli ex vertici del nucleo operativo di Palermo di avere impedito le indagini volte a portare a termine l’arresto del boss Matteo Messina Denaro.
Come scrive Il Corriere del Mezzogiorno:
I tre vennero querelati per diffamazione dagli ufficiali Giammarco Sottili, Michele Miulli, Fabio Ottaviani e Stefano Sancricca. Masi e Fiducia sono anche indagati per calunnia a Palermo dove hanno formalizzato una denuncia sostanzialmente sugli stessi fatti oggetto della conferenza stampa che è costata loro il rinvio a giudizio per diffamazione.
Il caposcorta di Di Matteo, condannato a sei mesi in appello per falso materiale e truffa e in attesa del giudizio della Cassazione, ha anche deposto al processo per favoreggiamento aggravato all’ex capo del Ros Mario Mori, sostenendo di avere saputo da un suo superiore che, tra le carte sequestrate a casa di Massimo Ciancimino, durante una perquisizione del 2005, c’era il «papello» con le richieste del boss Riina allo Stato. All’ufficiale però sarebbe stato detto dai suoi superiori dell’epoca di non sequestrarlo, perché già in loro possesso. Il papello in realtà è stato consegnato da Ciancimino ai pm di Palermo solo nel 2009.